Alla supremazia di Brancaleone Guelfucci nel ‘300 venne posta fine con la sollevazione del 1375 appoggiata dai Fiorentini con il recupero della libertà di un comune peraltro ormai connotato da un governo degenerato in una sorta di oligarchia. Dopo ulteriori rivolgimenti interni e lotte con i potenti vicini, Città di Castello venne sottomessa da Braccio Fortebraccio (1422/1424). Dopo una serie di lotte cruente tra le maggiori famiglie tifernati per il predominio sulla città, per qualche tempo in mano ai Montefeltro, e successivamente sotto la protezione dei Fiorentini, emerse con forza il casato dei Vitelli. Con Vitellozzo prima e con Niccolò poi, i Vitelli raggiungono l’egemonia assoluta, respingendo anche ripetuti attacchi. Nel 1474 Niccolò difese la città dall’assalto pontificio nel corso dei memorabili 80 giorni d’assedio. Sconfitto ed esiliato da Papa Sisto IV ad Urbino, otto anni dopo liberò la città sotto le insegne dei Medici con l’aiuto dei Montefeltro, meritandosi l’appellativo di “Padre della Patria”. Gli successero Paolo e Vitellozzo Vitelli. I meriti della loro Signoria non furono solo politici. Quelli maggiori e più duraturi sono quelli di natura artistica. Il loro mecenatismo fece di Città di Castello un nodo strategico di varie tendenze artistiche sino a farla divenire un angolo di Toscana in terra umbra per lo stile architettonico delle dimore e dei palazzi, chiaramente ispirati al gusto fiorentino. Nell’epoca a cavallo tra XV e XVI secolo alcuni tra i più importanti artisti della penisola si vedono commissionare opere a Città di Castello: da Raffaello a Luca Signorelli, da Vasari al Parmigianino, da Gentile da Fabriano a Rosso Fiorentino, dal Doceno al Ghirlandaio. La città diviene luogo di gradevole benessere dove vivono non solo nobili e guerrieri ma anche “infiniti letterati et valentissimi dottori”, mentre s’impone la nascente arte della stampa che viene fatta risalire al 1538 con Magister Mazzocchi. I frequenti terremoti, le ripetute pestilenze (terribili furono già quelle del 1347 e del 1400) e le piene del Tevere (tremenda quella del 1557) costituiscono flagelli ricorrenti (anche se servono a mitigare le guerre intestine e a favorire periodi di tregua) mentre sono le Feste a contribuire fare della città un “luogo di molto piacere” e ad alimentare la fama degli abitanti quali “gente ospitale e munifica”: sono soprattutto le “Solennità Floridiane” con tornei, giostre e spettacoli, a caratterizzare quell’epoca. Dopo un breve dominio del Duca Valentino, che nel sanguinoso “convegno di Senigallia” (1502) fece assassinare anche Vitellozzo Vitelli, la città perde gradualmente la propria influenza e cade definitivamente sotto il dominio dello Stato della Chiesa, anche se per tutto il ‘500 continua ad essere governata dai Vitelli, tra i quali emerge la figura di Alessandro, uno dei più valorosi condottieri del suo tempo.